A 19 anni si ritrovò la strada chiusa e fu costretto a emigrare: “Tanti stranieri in quella squadra, ma ho sempre saputo che un giorno sarei tornato”. E ha portato in dote il suo Studio Medico Colombo
Dal ragazzino che arrivava in prima squadra dalle giovanili, al “vecchietto” del gruppo. Se è vero che, come si dice, tutte le strade portano a Roma, nel caso di Giorgio Bernasconi il detto vale due volte: perché lui nella capitale c’è tornato ed è tornato a indossare quella maglia che non ha mai smesso di amare, quella della Rugby Roma. “Venivo da un settore giovanile che produceva tantissimi nazionali, mi ritrovai in prima squadra con campioni sudafricani, argentini, Todd Olivier, Emiliano German, Leonardo Roldan, per un ragazzino come me c’era poco spazio, anche se l’allenatore Stefano Bordon mi dava minuti. Ma io volevo giocare e con la strada chiusa decisi di sganciarmi. Feci due anni a Verona dove ho vinto la Serie B, ad Alghero ho ritrovato Bordon. Poi mi ruppi un crociato e tornai, ma la mia vecchia Rugby Roma era fallita e quindi andai a giocare alla Capitolina. Ma ovunque fossi, ho sempre saputo che prima o poi sarei tornato a giocare con la Rugby Roma”.
Una storia d’amore iniziata a 9 anni e grazie a un giornale. “Quello che leggeva papà Guido e che parlava della Rds Rugby Roma, quella che vinceva lo scudetto. Fu lui a portarmi al Tre Fontane, anche perché pensava di calmarmi un po’, visto che ero abbastanza… vivace”. In 10 anni ha conosciuto ragazzi con i quali poi ha intrecciato il destino varie volte: “Basti pensare che da ragazzino giocavo con Riccardo Casasanta e oggi invece col fratello Andrea. E quello che ritengo il mio più grande maestro è stato Andrea Giacometti, papà di Gianandrea, col quale oggi mi ritrovo a giocare”. Oggi Giorgio, oltre a giocare, è il direttore della qualità e rapporti istituzionali dell’azienda famigliare Studio Medico Colombo. “La fondò Maria Mescolucci, la mamma di mia mamma, Patrizia Palmieri. E se oggi siamo sponsor della Rugby Roma, è perché ci crediamo tutti, ma anche in questo caso ad avere avuto l’idea è stato papà”. Perché, secondo Bernasconi, la Rugby Roma di oggi ha qualcosa in più anche di quella con la quale giocava da giovanissimo per traguardi più importanti: “Eravamo tutti giovani nazionali, ma sentivamo che il club non era strutturato in modo da permetterci di crescere anche come uomini. Infatti abbiamo combinato parecchi disastri… Non c’era una dirigenza in grado di farci sentire la presenza, non avevamo chi ci potesse riprendere, inquadrarci. Se posso fare un parallelismo, negli anni alla Capitolina ho conosciuto un club che era ripartito dai suoi ragazzi e che trasmetteva principi e valori: ed è quello che finalmente anche oggi ritrovo in questa Rugby Roma. Una società sempre presente, a tutti i livelli, dall’amministrazione ai tecnici, persone affidabili e che 24 ore al giorno lavorano per il club con grande abnegazione e passione”.
Come l’allenatore Daniele Montella, con il quale all’inizio c’è stata qualche difficoltà, ammette Bernasconi: “Avevamo ognuno le sue idee, non nego che è stato difficile capirci. Ma ho messo da parte il mio ego, ho cercato di fidarmi della sua proposta e ora qualsiasi cosa mi ni chiede mi metto sull’attenti. Ho sposato totalmente il suo gioco, la sua mentalità, quello che ci comunica, il sacrificio che ci chiede. Proprio sacrificio è stata la parola d’ordine che ci ha consegnato a L’Aquila nella partita che valeva la promozione. Una parola che comunque non è estranea a gente che lavora tutto il giorno e che quindi non avrebbe bisogno di sentirsela ripetere. Invece quel giorno in campo tutti l’abbiamo sentita e ci sono stati momenti della partita in cui ci siamo dovuti difendere e quindi sacrificarci per la squadra: io stesso mi sono immolato su un’azione a 5 metri. Ho tutti i malanni e gli acciacchi e gli infortuni delle seconde linee, ginocchia, spalle, ma l’obiettivo di tutti e il mio è farci trovare pronti quando l’allenatore chiama”. Per chi poi questi colori li indossa sin da bambino diventa una questione di amore: “Io amo la Rugby Roma, sento un fuoco dentro che finché non sarò costretto a smettere mi spingerà sempre a dare il 100 percento ogni giorno. E’ una cosa che ci distingue rispetto a tanti altri club, anche perché dietro abbiamo una storia che in pochissimi possono vantare e che sentiamo sempre di dover onorare”.
E… nessun conflitto d’interesse con lo Studio Medico Colombo, anche perché a farsi male un rugbista proprio non ci pensa: “E’ pur sempre un’azienda e quindi gratis non si può…”, scherza Giorgio. “Però il suggerimento è quello di individuare sempre presto un eventuale problema e intervenire per risolverlo il prima possibile, anche per contenere i costi. Ma un rugbista gioca sempre al massimo, senza la paura di farsi male in una ruck o su un placcaggio”. Che poi, comunque, ad aggiustarti ci pensa Bernasconi.