Non sarà semplicissimo fare come papà Massimiliano, ma intanto il primo mattoncino l’ha messo: con l’esordio in prima squadra domenica scorsa nel secondo tempo della sfida con Paganica, Edoardo Petti ha ripreso una storia che si era solo momentaneamente interrotta nel 1999. E per Massimiliano Petti è stato come esordire una seconda volta, una seconda vita da dedicare a quello che è sempre stato e sempre sarà il suo unico club. Club per il quale ha giocato 290 partite, co-primatista assoluto di presenze (secondo i nostri dati) insieme all’ex compagno di squadra Giampiero Mazzi.
E curiosamente, anche la sua prima volta fu contro un’abruzzese: “Era però la mitica Scavolini L’Aquila di Massimo Mascioletti e Serafino Ghizzoni. Non avevo nemmeno 17 anni - ci racconta Massimiliano Petti - e Paolo Paladini decise di schierarmi. Non dormii la notte al pensiero di affrontare quei campioni. In generale sono sempre stato molto apprensivo, sentivo le partite”. Per Edoardo è lo stesso? “Sembra proprio di no. L’ho visto un po’ teso solo a pranzo perché non ha mangiato tutta la pasta, lì ho capito che ci stava pensando. Ma io non ero preoccupato, perché so che se entra in campo, la sua la dice, i compagni possono contare su una persona che dà sempre il massimo. Gli ho detto semplicemente di placcare tutto e recuperare palloni in giro per il campo, più una frase di circostanza che un consiglio, perché sa benissimo cosa deve fare, ma alla fine è quello che ha fatto”. Commozione? “La chiamata è stata la dimostrazione che il lavoro paga. Quando è entrato l’emozione mi si è moltiplicata dentro, ma poi quando ha iniziato a giocare è finita lì”. Più che per la partita, Massimiliano Petti si emoziona pensando ai tanti amici che si sono congratulati: “Mi ha fatto piacere vedere Nanni Raineri, che è venuto apposta, ma anche i tantissimi messaggi ricevuti dagli ex compagni, da Roberto Gandini a Stefano Fortunato, Bobo Corvo, Umberto Gandini, Ferruccio Tozzi, Armando Lugari”.
Indubbiamente, i Petti si preparano ad allungare una storia con la Rugby Roma iniziata nel 1976: “Quando sono entrato avevo 10 anni e non mi sono mai allontanato, è stata sempre il punto di riferimento della mia vita, da quando ero un ragazzino a ora che sono un papà. Ho visto passare centinaia di personaggi e proseguire questa presenza all’interno con mio figlio è una enorme soddisfazione”. Anche perché, ricorda Massimiliano, non è sempre stato tutto semplice: “Gli anni dopo la spaccatura in due club, devo ammetterlo, sono stati molto difficili, le condizioni mi avevano fatto sorgere qualche dubbio. Ma la fedeltà a questo stemma e a questa Rugby Roma mi ha portato a perseverare e l’esordio di Edoardo ripaga fondamentalmente lui per i tanti sacrifici. Il Tre Fontane è stata casa mia ma abbiamo deciso di seguire questa Rugby Roma, non volevo giocasse in altre squadre”. E anche dal punto di vista dello sviluppo del club la scelta si è rivelata azzeccata. “Noi di quelle generazioni - racconta Massimiliano Petti - sognavamo un club così. Ma quello che ho vissuto al Tre Fontane resta ovviamente indelebile”. E il futuro? “Io sono sempre rimasto socio perchè ci credo, perché mi piace e spero possa esserci un futuro ancor più brillante. Costruire sul vivaio è l’unica strada percorribile per una società che non può godere di chissà quali risorse. Quindi devi creare attori che siano fondamentalmente legati alla società. Ovviamente non ci sarà un prodotto sempre elevatissimo, ma queste sono le basi dalle quali devi partire. Anche la Rugby Roma dello scudetto aveva una fortissima base composta dai suoi giovani, ai quali erano stati poi aggiunti elementi che, combinati bene, ci hanno permesso di arrivare a un risultato altrimenti impossibile. Quello scudetto fu il compimento di 30 anni di lavoro, perché va dato il merito anche a chi c’è stato e poi è andato via”.
Chiacchierando, poi, esce fuori una curiosità davvero incredibile: Massimiliano Petti solo una volta aveva visto esordire il figlio di un suo compagno di squadra. "Quando Pote Fourie fece esordire Daniele Montella, schierandolo tallonatore al fianco del papà Umberto, pilone sinistro. Solo che io in quell'occasione ero proprio in campo...". E proprio Daniele Montella oggi prosegue su quella strada tracciata in passato. “Se non si segue questa filosofia, non si va da nessuna parte. Io stesso - spiega Massimiliano Petti - ho cercato di trasmettere a mio figlio il legame a questa maglia e proprio domenica lui l’ha sentito, con tutte quelle persone che lo hanno chiamato: ha sentito la responsabilità e il peso della maglia che indossa. E’ cresciuto con i miei racconti su Franco Gargiulo, ha ammirato tutti questi grandi che hanno scritto la nostra storia, lo portavo sempre con me perché potesse sentire il coinvolgimento di chi a questa maglia era legato. E gli ho anche dato il compito di trasmettere tutto questo anche ai suoi compagni. Dentro quella maglia che ha indossato domenica per la prima volta c’erano le storie di tutta la gente che ha combattuto per la Rugby Roma”.