Era stato il lavoro a portarlo alla Rugby Roma. E’ sempre il suo lavoro ad averlo riportato a indossare questa maglia. Indossare virtualmente, visto che comunque il ruolo di consigliere implica per Svevo Valentinis responsabilità non troppo differenti rispetto a quando quella maglia la difendeva in campo. “Ho iniziato a giocare a rugby - ci racconta Valentinis - nel 1969, ho giocato per Cus, Lazio e Primavera: abitavo a Porta Pia e al campo mi portava Grangé. Poi quando iniziai a lavorare mi ritrovai più vicino alla Rugby Roma, così chiesi il cartellino e cambiai maglia. Ho giocato con questi colori dal 1982 al 1986. Giocavo seconda linea o pilone, più pesante che alto… L’allenatore era Paolo Paladini, il presidente Renato Speziali”.
Oggi Svevo abita non lontano dalla nuova casa di Tor Pagnotta, a Mostacciano, e da un paio di mesi è tornato a ricoprire un ruolo più attivo nel club, come consigliere. “Tramite i vecchi amici che mi avevano parlato del progetto di questa Rugby Roma, mi sono riavvicinato, semplicemente come socio. C’erano già tutti quelli che oggi la portano avanti, Bobo Corvo, Massimiliano Morolli, Fabrizio Pollak, Silvio Tarroni, Carlo Pietra. Loro avevano deciso di ricostruire questa storia e in quel momento si stava ancora cercando un luogo da far diventare casa. Nel mio lavoro che faccio dal 1981 sono direttore del personale, faccio accordi di contrattazione nazionale e locale, quindi all’interno della Rugby Roma seguo i rapporti di organizzazione interna”. E allora ci facciamo spiegare da Valentinis qual è la sua impostazione, la sua visione: “Ognuno di noi ha pregi e difetti: il difetto va gestito”. Senza fare nomi, e nemmeno cognomi, scopriamo che per tenere a freno qualche irruenza che può emergere, basta parlare e allargare la visione: “Il mio compito è far capire che se si prende un’impuntatura, non ti porta certo valore. Bisogna essere sempre lucidi, nel mio ruolo non posso farmi coinvolgere emotivamente, devo affrontare le problematiche in maniera lucida e cinica, non ci si deve mai far influenzare dal sentimento, dal dettaglio. Io tendo a guardare all’insieme, se ti fai distrarre dal dettaglio vai a far danni. Al limite si può anche cedere da una parte, se poi un’altra ti porta un vantaggio. E cerco di fare capire a tutti che non si può sempre vincere per forza: a me va bene anche perdere, l’importante è portare sempre a casa qualcosa”.
Dalla Rugby Roma degli anni 80, dal Tre Fontane alla Rugby Roma di Tor Pagnotta: cosa è cambiato? “Il Tre Fontane era una casa, ma non nostra. Per fare un esempio, a fine allenamento se volevamo andare a bere una birra andavamo a viale Europa. La socialità che oggi invece ti offre questa casa è l’aspetto che più colpisce. Il sentimento di appartenenza però è rimasto uguale. Quando giocavo, tutti sapevamo che potevamo indossare altre maglie, ma la Rugby Roma è sempre stato il mito da raggiungere. E averci giocato e rivedere oggi le foto, i ricordi, quando entri in club house, ti fa respirare quello stesso sapore di storia e tradizione, ti ricorda continuamente chi ha giocato per questa maglia, chi ha onorato e dato il cuore per questo club. Ovviamente c’è una differenza i categoria rispetto ai miei tempi, in squadra avevamo diversi azzurri, un presidente come Speziali che, sempre presente, aveva trasformato una squadra fatta di grandissime personalità e individualità in una famiglia. Ecco, posso dire che oggi rivedo in tutti quello spirito, quel sentimento, dai ragazzi che vanno in campo a chi fa vivere il club, al bar, al ristorante. Dal presidente Bobo Corvo in giù, vedo tutti i giorni quella filosofia a guidarli: vedo gioia e spiritio di sacrificio”.
E poi ha ritrovato come allenatore una faccia conosciuta. “Giocavo con il papà di Daniele Montella, Umberto, che mi ha anche allenato. Conosco Daniele da quando aveva 10 anni, andava ancora alle elementari. Me lo ricordo determinatissimo sin da giovane, come quando decise di andare a studiare all’estero per accrescere la sua compresione del rugby. Mi ricorda proprio Paladini, che è stato un grande e anche in Nazionale, anche per alcune intuizioni. Daniele è molto bravo con i giocatori e loro stravedono per lui: sa gestire una squadra e lo ha dimostrato”. Ma il consigliere Valentinis un consiglio a Montella non vuole proprio darglielo? “Posso solo suggerirgli di essere sempre più esigente, di dare sempre la priorità alla squadra, di non prendere mai decisioni facendosi influenzare dal sentimento o dal singolo. Deve badare sempre a quello che è utile per la squadra”. Va bene la famiglia quindi, ma poi in campo evidentemente conta portare a casa il risultato: è la filosofia di Valentinis, e allora guai a far arrabbiare una vecchia e pesante seconda linea…